«La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»Come sempre però: fatta la legge, trovato l'inganno. Ebbene si, cari abitanti della penisola Italica che dopo tanto tempo di pausa (non evitabile) tornate a leggere le tristi pagine di questo blog, questo è l'argomento che oggi consentirà a questo spazio di memoria di sospingersi, ancora una volta, là dove nessun pessimista è mai giunto prima, oltre ciò per il quale alcun abile scrittore di drammatici horror ha mai posato la penna, più lontano di quanto ogni comico possa aspirare a trattare con eccezionale sarcasmo ed ilarità: dentro i meccanismi che muovono quella nazione che si chiama Italia e che è detta Repubblica.(Costituzione della Repubblica Italiana, art. 139)
Sebbene la nostra costituzione parli chiaro e sia stata strutturata con precisione e scrupolo affinché ella stessa provvedesse a regolare i modi per aggiornarla e rivederla negli anni, nonostante le nostre leggi, almeno quelle dell'immediato dopoguerra, fossero state concepite per evitare ogni futura forma che negasse il diritto costituzionale di ogni cittadino italiano ad essere parte integrante di una repubblica democratica fondata sul lavoro e, aggiungo io, sull'onestà dei suoi amministratori, tutto, almeno negli ultimi anni, sembra essere mutato.
Erano i bei tempi della ricostruzione, gli anni sognanti del quinto decennio del passato secolo, quando quei rispettabili grandi signori dei nostri padri sbracciandosi ricostruivano l'Italia. Erano i bei tempi delle battaglie politiche dialettiche e morali, dei comizi e dei carrocci, della sinistra operaia e della destra imprenditrice, del semi-centro democristiano e socialdemocratico. Tempi divenuti in seguito tanto lontani, tanto distanti, tanto dimenticati da non essere più considerati parte di ciò che dovrebbe essere la base della storia moderna e della cronaca recente della nostra nazione.
Molto tempo è passato da allora, e come tanta acqua è passata sotto i ponti sempre più in degrado delle nostre città, così tanta gente è passata per le urne del sistema elettorale sempre più in degrado delle nostre circoscrizioni. In questo fiume umano di votanti, col trascorrere del tempo, ogni singolo membro della società sempre di più ha cominciato ad assomigliare ad una goccia d'acqua in un insensibile oceano di gocce senza volto, senza nome e, per di più, senza valore.
Se è vero che ogni goccia d'acqua è una parte dell'oceano, è anche vero che tutta l'acqua di un recipiente chiuso ermeticamente, per quante decine di milioni di gocce d'acqua ne compongano il volume, non potrà mai cambiare forma né posizione, venendo trasportata da chi detiene il controllo del barattolo. E' facile tradurre questa metafora, per nulla scontata, in termini di società, politica e, ahimè, partitica.
Nei sessantanni che ci separano dalla presunta nascita della cosiddetta Repubblica Italiana le cose non hanno fatto che precipitare. In questo continuo aggravarsi della situazione, i cittadini si sono visti privare nei fatti, forse senza nemmeno rendersene conto, di ogni libertà e diritto costituzionale, di ogni possibilità di effettiva collaborazione legale e hanno visto eclissarsi di ogni forma di onestà e rettitudine una volta, forse, apparentemente riscontrabile nelle istituzioni dello stato. Ultime fra le libertà negate (ma ultime solo in ordine cronologico) sono, fra le altre, la libertà di pensiero, la libertà di stampa e proprio quella forma repubblicana sulla carta non sottoponibile a revisione.
Chi di voi, uomini e donne d'Italia, figli dei talk show e dei confronti televisivi, ha potuto votare davvero nelle ultime elezioni locali e centrali? Chi di voi può affermare con certezza di aver esercitato nelle forme e nei limiti della costituzione il proprio democratico diritto di prendere parte all'elezione del governo della cosiddetta Repubblica Italiana?
Io non credo che sia possibile rispondere affermativamente a queste domande, poiché non credo che lo stato italiano abbia preservato negli anni la sua forma democratica e il suo ordinamento repubblicano. Non lo credo poiché non riscontro elementi che mi possano rassicurare sulla mia posizione di elettore quando penso al presente sistema elettorale, alla roccaforte sulla quale la casta politica italiana si è rifugiata alla mensa del gran comitato degli oligarchi.
Quando ci hanno così bene anestetizzati? Come hanno fatto a trovare quel potente e magnifico sedativo che silenzioso e strisciante ha sedotto e corrotto la lucidità delle nostre menti? Perché noi, popolo della penisola italica, ci siano lasciati rapire e trasportare così lontano da quanto il nostro intelletto avrebbe mai concesso se non sopraffatto dall'inazione, dall'ignoranza e dall'inerzia? E soprattutto chi è colui che aspettiamo attribuendogli in maniera indefinita l'incarico di salvarci e di portare a compimento le azioni potenziali che arcani moti ci impediscono di tradurre in atto?
O popolo italiano! Cosa siamo? Cosa aspettiamo? Cosa vogliamo veramente? E' ora di svegliarsi e di alzare le corna che ci han messo in testa i nostri impiegati contro i quali inveiamo nelle piazze nelle giornate di mal tempo, ma che siamo stati noi a mettere lì! Oh «governo ladro!» fra un lampo, un tuono e qualche goccia di pioggia...
E così, nel collettivo assopimento e nella totale e ignobile ignavia, esperimenti psico-para-democratici sono portati avanti dall'uno e dell'altro schieramento, fra i comuni sorrisi smaglianti di codeste due facce del moderno Giano bifronte che poggia le sue corpulente posteriorità volgarmente accasciato sui quei due colli, là, in quel di Roma.
Andiamo quindi tutti noi, bonas oves, ad eleggere il nostro candidato a queste o a quelle primarie di questo o quel partito. Facciamo la nostra brava parte di cittadini della Repubblica Italiana, ed esercitiamo, mi raccomando, tutti muniti dell'euro di turno (non fatturato), la nostra democrazia: la democrazia a gettoni.
«Venghino signori, venghino! Tre palle un soldo, chi fa il centro vince! Venghino signori, venghino...»
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